Nuove donazioni a favore di gruppi teatrali
La Fondazione Barba Varley adotta:
L’ensemble infantile Cavalo marinho di João Pessoa, Brasile
Jocilene Cunha da Silva ha 43 anni, vive nella città di João Pessoa-PB. Meglio conosciuta come Maestra Tina, iniziò l’attività culturale con Dona Maria Nazaré (sua nonna) con i canti “de roda”.
Nel 1996 ha iniziato a praticare capoeira con il Maestro Naldinho del gruppo di capoeira Angola Community.
La Maestra Tina coordina le prove e gli spettacoli di cultura popolare per la comunità di Bairro dos Novaes, nella città di João Pessoa-PB, in Brasile.
A raccontare l’incontro tra “Mestra” Tina e la Fondazione Barba Varley che ha scelto di adottare questa forma artistica è Julia Varley, in un’intervista di Patrizia Pertuso pubblicata su metronews.it
Julia Varley, come è nato l’incontro con “Mestra” Tina?
L’anno scorso Eugenio ed io siamo andati a visitare con Juliana Pardo e Alicio Amaral del gruppo Mundo Rodà, i due maestri dell’ISTA che insegnano Cavalo Marinho a Pessoa e che da 25 anni fanno ricerca sulle danze popolari del posto.
Un pomeriggio ci hanno portato a vedere la prova che faceva “Mestra” Tina in un quartiere popolare di João Pessoa con bambini tra i 4 e i 14 anni.
Il Cavalo Marinho prevede, oltre a danze coreografiche, anche performance, improvvisazioni, canti e musica in cui vengono coinvolti i personaggi, alcuni umani come Mateu, e altri animali tra cui il Boi, il bue.
Era molto impressionante vedere questi bambini di 8 o 9 anni interpretarli perché lo facevano con una convinzione che è rara anche negli attori professionisti.
Nello stesso tempo, si notava chiaramente la sicurezza che gli dava recitare queste scene mentre si divertivano: in queste occasioni, infatti, si permettono di fare cose che, poi, nella vita normale, non farebbero.
Dove si svolgevano queste prove?
«In un cortile di una casa dove poi, sulla porta, appariva una signora anziana che abbiamo saputo essere la proprietaria della casa stessa. Su un lato del cortile c’erano i quattro musicisti, adulti che partecipano gratuitamente. Per i bambini, alla fine della prova, c’erano delle torte e qualcosa da bere. “Mestra” Tina ci ha spiegato che una Ong tedesca l’aiutava a pagare l’affitto, che all’epoca riguardava solo il cortile e dunque non era altissimo, e a comprare queste cose da mangiare per i bambini».
Chi sono i bambini che frequentano la scuola e partecipano al Cavalo Marinho?
«Sono bambini nati in questo quartiere molto popolare e molti di loro partecipano proprio perché alla fine ricevono qualcosa da mangiare. Non sono bambini di strada: tutti hanno un posto in cui abitare e qualcuno che si prende cura di loro anche se le relazioni familiari, in questi ambienti, sono molto diverse da come le concepiamo noi, con una madre, un padre e i figli. Lì, la zia, il cugino, il vicino di casa fanno tutti parte di una famiglia. I bambini passano da una casa all’altra e magari vivono insieme a quattro zii. Si tratta di una famiglia allargata che coinvolge tutto il quartiere».
Un quartiere che, immagino, partecipi al Cavalo Marinho.
«Esattamente. Quest’anno, quando siamo tornati a João Pessoa, abbiamo visto lo spettacolo di “Mestra” Tina con i bambini e con tutti gli abitanti del quartiere.
Stanno tutti assieme: ci sono tutti i colori della pelle, uomini, donne, trans, omosessuali e tra loro scorre una relazione molto familiare per la quale nessuno è privilegiato rispetto ad altri.
Nello spettacolo di quest’anno abbiamo ritrovato quasi tutti i bambini che avevano partecipato l’anno scorso insieme a altri, nuovi.
Fra i partecipanti c’era anche un uomo che, in altri luoghi, verrebbe definito come “il pazzo del villaggio”: è stato molto bello vederlo danzare con i bambini e osservare le loro interrelazioni: imparano a condividere, a curare costumi, ad aiutare “Mestra” Tina.
Questa partecipazione continua nel tempo sottolinea quanto questo tipo di arte sia radicato nel quartiere».
È stato facile per lei e per Barba entrare in contatto con questa realtà?
«Essere stati introdotti da Juliana Pardo e Alicio Amaral che da moltissimi anni hanno un rapporto con queste persone è stato fondamentale. Non siamo arrivati come turisti, ci hanno visto subito come professionisti che si interessavano alla loro forma artistica popolare: si è stabilita da subito una vicinanza che, altrimenti, non sarebbe stata possibile».
Perché la Fondazione Barba Varley ha deciso di adottare questa forma d’arte?
«Tina ci ha raccontato che la proprietaria della casa si è trasferita altrove e gli attuali possessori hanno aumentato vertiginosamente l’affitto raggiungendo una cifra per loro molto esosa. Così le abbiamo promesso di aiutarla».
Ci sono state altre adozioni in passato?
«Abbiamo appoggiato il gambuh balinese che è la forma più antica di teatro insieme al Nō giapponese. Ma questa è la prima adozione».
Un’adozione importante visto che proprio il Cavalo Marinho è diventato Patrimonio immateriale del Paraìba.
«La cosa che ci ha colpito di più è la trasmissione di questa forma d’arte popolare: la si vive come un’eredità ricevuta da un maestro che si deve trasmettere, una responsabilità importante che attrae giovani da tutta la regione. Quando siamo tornati a Pessoa quest’anno abbiamo visto che esistono una continuità e una prospettiva che ci ha convinto ad appoggiarli».
Come avviene questa trasmissione di saperi? I bambini che hanno imparato quest’arte la insegneranno poi ad altri bambini?
«Tra i partecipanti di quest’anno abbiamo ritrovato una ragazza di 14 anni che sarà quella che “erediterà” l’insegnamento di questa forma d’arte popolare. Usando un fischietto, ogni tanto interveniva nello spettacolo e metteva in riga in bambini. È molto importante che queste tradizioni artistiche non si perdano nel tempo. Ed è altrettanto importante per noi aver attivato questa adozione affinché “Mestra” Tina e quei bambini possano ancora dar vita al Cavalo Marinho».
Patrizia Pertuso