ISTA, I principi che Danzano

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ISTA, I principi che Danzano

Di: Gregorio Amicuzi
Traduzione: Fiorenza Sammartino
Foto: Francesco Galli

Siamo a Favignana, un piccola isola dell’arcipelago delle Egadi, in Sicilia. Un confinamento volontario, 70 persone che provengono da più di 15 paesi. Un villaggio interculturale itinerante, immaginato da Eugenio Barba nel 79, che attraverso le sue 16 edizioni, diventa realtà grazie all’incredibile lavoro e sforzo degli organizzatori che accettano la sfida di compiere con l’impossibile! Si apre così l’incontro, con Eugenio Barba che parla dell’impossibile. Citando Fridtjov Nansen condivide il seguente pensiero:

“Il difficile è ciò che richiede un po’ di tempo; l’impossibile è ciò che ne richiede un po’ di più”

E così si inaugura l’ISTA, un atto per il teatro e per la ricerca, che sembra impossibile da realizzare ed ancora di più in tempi di pandemia. Non è un festival, né un congresso.

L’ISTA, Scuola Internazionale di Antropologia Teatrale, è un incontro dove i partecipanti vivono, dormono e mangiano insieme ai maestri e alle maestre. Nel corso di 10 giorni, le domande sui “principi che ritornano”, come li chiama Barba nel libro “La Canoa di Carta”, trovano risposta nelle diverse tradizioni che vengono presentate.

Un programma intenso che inizia alle 7.00 del mattino davanti al mare, dove ogni giorno un maestro o una maestra, cantano per dare il benvenuto al sole. A seguire i laboratori pratici e gli incontri con il maestro Eugenio Barba. Nel pomeriggio dimostrazioni di lavoro e la sera spettacoli aperti anche al pubblico esterno.

Barba crea e dà vita al concetto di Antropologia Teatrale insieme a Nicola Savarese nel libro “L’arte segreta dell’attore”, definendolo come il territorio di studio del comportamento pre-espressivo dell’essere umano in una situazione di rappresentazione organizzata. Cerca, studia, analizza tutto ciò che c’è dietro l’azione scenica, il bios dell’attore ed i principi comuni nelle diverse tradizioni teatrali e popolari, in concreto li dove esiste una rappresentazione organizzata della realtà.

Qual è il lavoro quotidiano di Parvathy Baul, cantante-guru della tradizione Baul del Bengala? Quali esercizi accompagnano i risvegli all’alba di Keiin Yoshimura, insegnante di teatro No e Kamigatamai in Giappone?

Qual è l’allenamento di Julia Varley dell’Odin Teatret, che permette al suo corpo-voce di essere vivo, attivo dopo più di 40 anni di lavoro? Qual è il lavoro fisico quotidiano di Ana Woolf, attrice argentina esperta della tecnica di Tadashi Suzuki?

Cosa hanno in comune la danza Gambuh, danzata dal performer I Wayan Bawa di Bali con il Flamenco di Caterina Scotti, il Bharatanatyam di Tiziana Barbiero o il Katakali di Alessandro Rigoletto, tutti e tre membri del Teatro Tascabile di Bergamo?

Che categorie dobbiamo utilizzare per mettere in relazione una tradizione popolare dello stato di Pernambuco in Brasile, il Cavalo Marinho presentato da Juliana Pardo e Alicio Amaral del gruppo brasiliano Mundo Rodá, con il Kutiyattam di Kapila Venu? O come dialogano queste tradizioni con Lydia Koniordou, attrice greca ed esperta di dramma greco antico? Queste e altre domande accompagnano l’ISTA.

Un grande caleidoscopio di tecniche al quale il maestro Eugenio Barba si avvicina con un microscopio, alla ricerca di tutti quei dettagli che riguardano le tensioni fisiche di ogni azione. È a partire da queste osservazioni empiriche che vengono elaborati i principi dell’antropologia teatrale, influenzando così i corpi dei partecipanti che si chiedono come e se potranno incorporarli nel loro lavoro quotidiano.

Secondo la sua definizione, i “principi che ritornano” presenti nelle diverse tradizioni performative si riducono a tre: l’equilibrio nell’azione o principio dell’alterazione dell’equilibrio, la danza delle opposizioni e l’omissione o principio della semplificazione.

Le domande ed i compiti scenici che Barba propone ai maestri ed alle maestre si incentrano sull’apprendimento, su come si studia e su come si trasmettono le loro tecniche. Le sue domande mettono in evidenza le tensioni nel corpo dell’attore-danzatore e la sua capacità di dirigere la sua energia, influenzando la percezione cinestetica dello spettatore.

Eugenio Barba analizza, interroga, compone e soprattutto contrappone le diverse discipline con uno sguardo che diventa scuola e permette ai 50 partecipanti di aprirsi, interrogarsi e costruire la propria visione di cosa sia il teatro e soprattutto perché lo si faccia.

Alla domanda su cosa sia l’ISTA e perché sia necessario, il Maestro risponde:

“L’ISTA è diventata per me una situazione di didattica cinestetica: imparare ad imparare facendo. Posso riunire maestri che conosco da molto tempo provenienti da diverse tradizioni e generi teatrali e di danza e con loro trasmettere la nostra conoscenza dei principi tecnici della presenza dell’attore/danzatore. L’ISTA fa parte di un progetto di condivisione delle conoscenze che la Fondazione Barba Varley sta portando avanti, insieme alla rivista ad accesso libero “JTA, Journal of Theatre Anthropology” ed alla realizzazione di dieci film sull’antropologia teatrale.

Nelle sessioni ISTA, i partecipanti hanno la possibilità di incontrare maestri provenienti dall’Asia, dall’America Latina e da altre aree culturali che mostrano nella pratica i principi tecnici che permettono lo sviluppo della presenza scenica individuale dell’attore/danzatore.

Il campo dell’antropologia teatrale è lo studio dell’essere umano in una situazione di performance organizzata, ossia quando l’attore/ballerino usa la sua presenza secondo principi diversi da quelli della vita quotidiana.

L’ ISTA può influenzare ed aprire nuovi orizzonti per una manciata di partecipanti. Non sono molti, di solito oscillano tra i cinquanta e gli ottanta. Ma la partecipazione si trasforma nell’esperienza fisica e materiale che la terra è rotonda.

E quali sono le conseguenze per un attore o un regista della scoperta che la terra è rotonda, e quali sono gli effetti sull’ambiente sociale e artistico?

Ti racconto come hanno reagito i latinoamericani che hanno studiato e partecipato all’ISTA. Per loro l’incontro con gli attori asiatici all’inizio fu una sorpresa: a cosa poteva servire un modo così “esotico” di fare teatro, così lontano dalle tecniche teatrali dell’America Latina, degli Stati Uniti e dell’Europa? Però, scoprirono e cominciarono a capire che dietro queste forme lontane, c’erano dei principi tecnici che potevano essere utilizzati.

Cosa hanno fatto i più intelligenti di loro? Hanno guardato ed analizzato la propria cultura, tutta la straordinaria ricchezza spettacolare delle manifestazioni popolari nella cultura andina o in Brasile con le danze degli Orixas del Candomble, il Cavalo Marinho, la Bumba meu boi e molte altre. Tutta una profusione di attori che ballano danze popolari le cui tecniche e la cui potenza espressiva non erano state affatto prese in considerazione dalla gente di teatro. In America Latina, a partire dagli anni ’80, coloro che avevano vissuto l’esperienza dell’ISTA iniziarono a utilizzare i principi dell’antropologia teatrale in relazione al patrimonio della propria cultura.

Nel prossimo numero di JTA, Journal of Theatre Anthropology, saranno pubblicati testi scritti da registi e attori latinoamericani che descrivono come l’antropologia teatrale sia stata per loro uno strumento per avvicinarsi e comprendere le loro proprie culture indigene. Grazie alla conoscenza dell’antropologia teatrale, senza copiare le forme esterne hanno alimentato e ispirato le loro creazioni artistiche.

In una situazione di performance c’è un cambiamento del comportamento, da quotidiano ad straordinario. Questo è ciò che costituisce la tecnica dell’attore/ballerino. Questa tecnica è radicata nell’uso di alcuni principi tecnici che intensificano la presenza. La presenza è un fattore imprescindibile per attirare e stimolare l’attenzione dello spettatore ed allo stesso tempo mantenerla per un’ora, due ore, tre ore… Quindi per stimolare il cervello, per alimentare l’attenzione e la percezione dello spettatore, l’attore deve produrre tutta una serie di nuovi stimoli, non solo a livello verbale/concettuale del testo, ma anche a livello di empatia fisica con lo spettatore, facendo azioni dinamiche e sonore. Questo è il mestiere dell’attore/ballerino. Questa conoscenza intrinseca dei principi tecnici permette una dinamica di variazioni somatiche ed acustiche che sono veri e propri stimoli associativi e sensoriali che colpiscono il sistema nervoso ed il senso cinestetico dello spettatore.

Tra i principi tecnici che l’antropologia teatrale ha individuato e che sono alla base del comportamento extra-quotidiano dell’attore/danzatore ci sono: l’alterazione dell’equilibrio e della postura quotidiana, che provoca una mutazione tonica della presenza dell’attore, una rete di tensioni organiche nel corpo che hanno un impatto sulla visione e sull’attività neurologica dello spettatore, cioè la sua percezione. Il comportamento extra-quotidiano dell’attore/danzatore genera un corpo insolito, un processo di straniamento, ossia del rendere sorprendente un comportamento che tutti conoscono: camminare, prendere in mano una penna e scrivere, fumare. Per l’attore, è la modalità in cui intensifica le sue azioni che diventa fondamentale. Qui si trova l’immensa ricchezza di saggezza tecnica nelle diverse tradizioni codificate. Quelle tradizioni sono un esempio concreto di come intensificare la presenza oltre a diventare un’ispirazione per individuazione di quei principi che possono aiutare l’attore che lavora nella contemporaneità a costruire il suo modo individuale di essere presente oggi, nel suo tempo e luogo”.

Le diverse tradizioni vengono presentate in due sezioni di lavoro ogni mattina nelle quattro sale di lavoro, che prendono il nome dalle città che hanno ospitato le precedenti edizioni dell’ISTA.

La formazione mattutina è seguita da dimostrazioni di lavoro e momenti di riflessione con gli stessi maestri. Lezioni magistrali di Barba che, nel ruolo di direttore di questa “Scuola dello sguardo”, come la definisce Nicola Savarese, presta attenzione a quei dettagli che collegano l’arcipelago di tecniche presentate ai partecipanti. Si mettono in evidenza cosi, in questo modo i principi comuni, i “principi che danzano” nelle diverse tradizioni personali e collettive dei maestri invitati.

Nel pomeriggio, dopo il pranzo, c’è anche un momento di “baratto”, uno scambio tra i partecipanti. In questo scambio di idee e pratiche, nascono relazioni, amicizie e collaborazioni.

Un villaggio necessario reso possibile grazie all’incredibile sforzo del Maestro Barba, 85 anni, dei suoi collaboratori e soprattutto grazie alla forza e alla determinazione degli organizzatori, Teatro Proskenion di Reggio Calabria e Linee Libere di Roma, che hanno preso le redini del progetto nonostante il Covid.

Si naviga su quest’isola, Favignana, dove un’antica tonnara ci accoglie e il rumore del mare all’alba ci culla, mentre i maestri e le maestre trasformano il silenzio in azione con il loro canto.

Ci portiamo con noi molte domande, molti esercizi da approfondire nelle sale di lavoro e soprattutto molta diversità, fili invisibili che grazie alle tecniche diventano tangibili.

Con tutto questo immaginiamo il prossimo incontro, in qualche paese della Spagna capace di ricevere questo grande villaggio teatrale e rendere possibile l’impossibile: un grande incontro necessario dove, grazie ai “principi che danzano”, la diversità diventa un’esperienza comune.